Andrea Jori
Scultore e pittore
Proprio come la parola che usiamo per dire “verità” è caratteristica per i diversi popoli, lo è anche la terminologia della “bellezza”. In slavo, il bello è stato identificato con il rosso. Il popolo si è lasciato impressionare dai colori dei campi nella primavera. Li riproducono nei ricami delle vesti e nelle pitture murali. I greci hanno espresso la loro ammirazione per la bellezza dell’universo con la parola kosmos, ordine, cioè la sinfonia delle leggi che vi dominano. Perciò esprimevano il loro senso per la bellezza nelle linee armonizzate dei templi e nelle sculture. Come un’eredità greca si possono considerare anche le chiese gotiche. In esse, le linee pure ed eleganti elevano le menti al cielo e sembrano attirare nel suo volo verso l’alto anche le pesanti pietre degli edifici.
Se, da una parte, l’arte è condizionata dalla mentalità del popolo, d’altra parte si può dire che essa influisce anche sul suo modo di pensare e, in genere, su tutta la cultura. Non è quindi un puro caso che nel pensiero europeo del periodo gotico sia prevalsa la filosofia scolastica, fiduciosa di poter elaborare una perfetta “somma filosofico-teologica” in cui i misteri della religione e della vita vengono illuminati e sollevano spontaneamente le menti a Dio. In campo sociale e politico, una tale concezione ispira lo sforzo nobile di costruire un ordine giuridico chiaro e coerente che assicurerà ai cittadini onesti una convivenza pacifica e il benessere desiderato. L’ideale così tracciato sembrava perfettamente cristiano e la Chiesa è stata invitata a collaborarvi. Non vogliamo qui seguire i successi e i fallimenti di un tale nobile programma. Accontentiamoci solo di una semplice annotazione, quella cioè che le persone che veramente credevano in Cristo esprimevano il loro dubbio a questo proposito con una espressione delicata, ma assai critica: pur apprezzando gli sforzi per un ordine naturale del mondo, dobbiamo costatare che il messaggio evangelico si colloca “su di un altro ordine”, che trascende la purezza delle linee perfette e armonizzate. In altre parole: nella scienza delle scuole entra un’altra sapienza, assai differente, quella della croce.
Come esprimerlo artisticamente? Nelle chiese si risolveva il problema con la semplice giustapposizione di una verità accanto all’altra. In mezzo all’edificio dominato dalle linee pure, viene eretto un grande crocifisso centrale che, con la sua trave traversale, quasi cerca di cancellare l’armonia dell’edificio in cui è collocato. L’insegnamento cristiano segue più o meno questa parabola: puoi ammirare il volo delle linee verso il cielo – anzi devi ricordartelo –, ma quello ti sarà dato come ricompensa della precedente umiltà della croce.
Tralasciamo qui di riflettere sulle ulteriori manifestazioni di questo aspetto antinomico nell’arte religiosa, e permettiamoci ora un enorme salto storico, rivolgendo il nostro sguardo alle sculture di Andrea Jori. La prima impressione può essere pessimistica. Lo splendore delle belle linee gotiche che elevano l’anima al cielo sembra irreparabilmente crollato. L’artista voleva forse dirci proprio questo? Il suo messaggio sarebbe un’ammonizione severa agli uomini di oggi per riflettere sul fallimento dell’ideale fissato all’inizio della nostra cultura europea?
Guardiamo però con un’attenzione maggiore l’opera del nostro scultore. Vi troviamo davvero la figura di un uomo che crolla tragicamente. E le linee, nelle quali è collocato, sembrano crollare con lui. Però, stranamente, sembrano rialzarsi con uno slancio eroico dalla terra verso il cielo. Lasciatemi ora dire che pensiero evoca questa rappresentazione in un teologo cristiano. Questi ci vede un autentico simbolo della sapienza della croce e della virtù tipicamente cristiana che essa predica, cioè umiltà. Essa fu definita da san Gregorio di Nissa come “discesa verso l’alto”. Non è un crollo al quale segue un’elevazione, ma quest’ultima è identificata con la stessa caduta. Chi può comprenderlo comprenda. È il mistero della Via crucis rivelato ai credenti e il nostro artista con i suoi simboli ci aiuta ad avvicinarlo. In questo aspetto tragico dell’opera di Jori, mi piace sottolineare un altro aspetto: l’uso sofferto della materia. Oserei dire che la perla principale di questo artista è il continuo gioco tra la materia come presenza e materia come luogo di assenza (i vuoti, gli strappi, gli incavi...). Questo vuoto della materia è una sorta di punto di indagine dello scultore. È come se la materia ad un certo punto venisse mangiata, fosse corrotta da qualcosa, da una certa mancanza, esprimendo che così da sola non riesce ad essere sufficiente. La scienza moderna ci rende presente il problema del rapporto tra la materia e l’energia, intesa come principio vitale. Infatti, nella modernità, la creazione è stata sempre più considerata e resa una realtà morta, un oggetto da studiare ed usare, mentre la teologia ci ricorda che il principio vitale nel creato è il Logos per mezzo del quale il mondo è stato fatto. Se si apre la materia, se si dischiude la pietra, il metallo, si deve trovare in essa il codice del Verbo, del Logos. Si deve cioè trovare scritto nella materia stessa l’orientamento della materia, la direzione del movimento che ha preso il creato. Anche la materia plasmata cerca questo orientamento, senza il quale si corrompe. I vuoti, gli strappi, le assenze in questo gioco materico di Jori possono essere intesi come una sorta di epiclesi, di invocazione allo Spirito che è Spirito vivificante, principio vitale, affinché la materia si muova verso l’uomo, entri nel corpo, dato che il corpo è portatore dello Spirito, partecipa pertanto all’amore di Dio. Con ciò anch’essa può essere assorbita dall’amore e dunque ha la possibilità della resurrezione e della vita eterna, dato che l’amore dura in eterno e non conosce fine, dice san Paolo.
Thomas Spidlik, 1993

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