Andrea Jori
Scultore e pittore
Il Cristo nel presbiterio è una terracotta di grandi dimensioni in cui Iori ha modellato il corpo con forme declinate verso un esplicito richiamo al classico.
Nella delineazione sobria delle vive masse muscolari, l’artista esprime una temperie stilistica che non esclude il supporto di un equilibrio compositivo attinto da Donatello, modernamente e origi­nalmente interpretato. L’idea di fondo del Crocifisso che guarda verso l’assemblea dei fedeli non è tanto quella di comunicare la sofferenza di Gesù in croce quanto quella di un Cristo in croce che è risorto e vivo. Il pensiero dell’artista si concentra sulla comunicazione di un cristia­nesimo vissuto con gioia perché nel Crocifisso Risorto si può cogliere il senso del suo offrirsi liberamente, con gioia, per la salvezza di tutti gli uomini, anche oggi.
Nel creare quel Cristo collocato nel presbiterio, non c’è il ricorso a elementi simbolici che invitino a pensare al trascendente, ma, al di là dei colti riferimenti, si avverte la concentrazione di trasmettere con semplicità una concezione aperta e coinvolgente del tema sacro: Croci­fissione e Risurrezione.
Nella potente invenzione del Cristo c’è un accento particolaris­simo che costituisce l’idea da cui si enucleano i dettagli della forma. Iori conferisce al Cristo un’umanità che si scopre nel movimento che sembra volerlo staccare dalla croce in posizione per così dire quasi bi­licante proprio perché risalti l’illusorietà del suo protendersi verso l’as­semblea dei fedeli. Sono di forte suggestione il volto espressivo appena ornato da ciocche di capelli rigonfie che ricadono sulla fronte, le mani inchiodate, non irrigidite, ma aperte quasi per un incontro; soprattutto in questa particolare interpretazione non sfuggono il riscontro puntuale nel modellato delle articolazioni inferiori e quei piedi non inchiodati, ma liberi, scattanti in avanti che sintetizzano, anche concettualmente, quel leggero sbilanciamento del corpo dalla croce.
Nel presbiterio, sull’altare, si rinnova il sacrificio di Cristo; an­che la statua di Iori, nella semplicità accurata della terracotta, vuole rappresentare, proprio perché nel presbiterio, un Cristo che esplicita con gioia e con una maestà non priva di armonica grazia la perenne donazione di sé.
L’artista controlla l’imporsi della grande figura rincorrendo una linea morbida, dolce, una sinuosità appena accennata così che la materia modellata risulti in equilibrio con l’astrazione del concetto da comunicare. C’è un virtuosismo di ascendenza barocca in quest’opera, indivi­duabile nell’intrinseco contrasto tra lo studiato equilibrio delle forme e la volontà suasoria dell’artista di far credere reale ciò che si può solo immaginare. Il linguaggio artistico conduce infatti al risalto di un Cri­sto che, pur con le mani inchiodate alla croce, cerca di vincere ogni legame per protendersi verso il credente, anzi per incedere verso di lui e con lui. E questa illusorietà creata dall’arte non contrasta con la verità di fede che accetta il sacrificio della croce nella prospettiva di quella vittoria che è la Risurrezione.
Giuse Pastore, 1997

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